domenica 29 dicembre 2013

TARES REGGIO: LA PROPOSTA


Il meccanismo di determinazione della tares è alquanto semplice. Si determina il costo complessivo del servizio (Leonia, commissario emergenza, personale, ecc.) che poi si divide per il numero dei metri quadri imponibili, si ottiene così un valore che, corretto da alcuni coefficienti previsti per legge, determina la tariffa. Il punto è sapere quali voci e per che importo sono entrate nella quantificazione del costo complessivo, sapere quali coefficienti sono stati adottati e perché.
L a Tares va a sostituire tutta la normativa pregressa in materia di rifiuti per attuare il concetto comunitario del “chi inquina paga”.
Allora tutti ci aspettavamo un aumento medio del 30 per cento circa (dato che il costo del servizio in passato non era coperto al cento per cento, come invece impone da quest’anno la norma sulla Tares, bensì a circa l’ottanta per cento). Mentre l’aumento di gran lunga superiore non sembra assolutamente giustificato.
Anche il Governo sapeva che la norma Tares avrebbe prodotto un aumento generalizzato, per questo motivo ha cercato di porre rimedio con il decreto legge 102/2013, che consentiva ai comuni di determinare la tares quantificandola come in passato e cioè con le regole Tarsu (L’articolo 5, del decreto 102/2013 - cd decreto Imu-, al comma 4-quater consente ai comuni di determinare i costi del servizio e le relative tariffe  sulla base dei criteri previsti ed applicati nel 2012 con riferimento al regime di prelievo in  vigore in tale anno - L’ente può disporre ulteriori riduzioni ed esenzioni, diverse da quelle previste dai commi da 15 a 18 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, che tengano conto altresì della capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l'applicazione dell’ISEE), ma a Reggio non ci siamo avvalsi di tali possibilità.
A Reggio, in un anno, cioè dal 2012 al 2013, il costo del servizio, al quale dare copertura, è aumentato di 10 milioni circa (passando da circa 28 milioni a circa 37 milioni). Si presume che nella quantificazione del costo del servizio siano state inserite voci di costi generali ed un apposito fondo svalutazione, che, sia pure consentito dalla norma, non appare giustificato nell’importo. Non sappiamo, inoltre, in che modo e perché sono stati distribuiti gli aumenti fra le diverse categorie di utenti.  Anche  perché, se nella quantificazione del costo del servizio, al quale dare copertura, fossero entrate altre componenti, che nulla hanno a che fare con il servizio, la determinazione e la relativa tariffa non sarebbero legittime, proprio per la violazione, in eccesso, del sopra accennato principio comunitario, come sarebbe dubbia la legittimità della pretesa di un fondo svalutazione crediti eccessivo che violerebbe il principio comunitario più volte citato.
Inoltre sempre per le ragioni sopra enunciate non è pensabile che il maggior gettito Tares possa essere stato destinato alla copertura dei disavanzi pregressi, perché se così fosse, ripeto ancora una volta che la tariffa non sarebbe legittima.
Allora secondo me andrebbe rivista la determinazione del costo ed andrebbero reintrodotte le agevolazioni e/o esenzioni per le fasce deboli, tenendo presente che la normativa prevede che dopo il termine per la approvazione del bilancio (quest’anno il 30 novembre) non si possa intervenire più su aliquote e tariffe ma solo in aumento, senza alcun limite temporale per gli interventi al ribasso. Qualcuno potrebbe obiettare che bisogna trovare altre fonti di copertura. Dal canto nostro invitiamo a riattivare e sollecitare le procedure di dismissione del patrimonio immobiliare, anche alla luce della recente norma regionale, appositamente introdotta.
.

mercoledì 25 dicembre 2013

PENSARE ALL’EURO IN UN GIORNO DI FESTA!


Oggi  è un giorno di festa e bisognerebbe rilassarsi e non pensare ai problemi, ringrazio il mio amico Franco per queste parole di incoraggiamento, ma non ce la faccio. Non ce la faccio ad essere indifferente al contenuto di  alcune telefonate. Tanti amici mi chiamano per gli auguri, ma, alla mia richiesta di notizie su come vanno le cose, confessano di avere tanti problemi. Chi è disoccupato, chi non prende lo stipendio da 17 mesi, chi ha ritrovato lavoro dopo sei mesi di fermo, durante i quali si è sentito umiliato, perché la propria moglie è dovuta andare “a fare surbizzi” (fare la colf) altrimenti non si mangiava. Penso a loro, ma penso contestualmente a tutti quei “buffoni” che, giustificando tutto con la legge del mercato, concentrano ricchezza scialacquando nel torbido.

Natale è anche festa di solidarietà. Giusto. Ma come fare ad aiutare tutti? Mi sento impotente e questo mi deprime. Ma mi sento anche molto arrabbiato, si molto arrabbiato. Con il sistema, con la politica.

Già la politica. Quella politica nella quale ho sempre creduto, convinto che le soluzioni vanno trovate, nel rispetto della forma democratica, nelle sedi istituzionali. Quella politica, però, che ci ha convinti che sia giusto entrare e rimanere nell’Euro, sistema politico ed economico che promette la ripresa, ma convincendoci dell’obiettivo della stabilità, provoca recessione e disoccupazione. Quella politica che continua a ripeterci che se uscissimo dall’Euro, finiremmo in bancarotta, dato il nostro principale fattore di debolezza: il livello del debito pubblico.

Ma, personalmente, ho sempre creduto in una Europa che costituiva una opportunità di sviluppo e non l’obbligo risanatore dell’austerità che produce, come detto sopra, recessione e disoccupazione.

Ormai che il meccanismo non funziona, lo dicono anche gli economisti, quegli economisti troppo frettolosamente innamoratisi dell’idea, forse perché dalla parte dei sistemi forti: bancario, assicurativo, ecc.

Possibile che non lo capisca solo la politica? Quella politica nella quale ho sempre creduto, convinto che le soluzioni vanno trovate, nel rispetto della forma democratica, nelle sedi istituzionali.

 

 

sabato 21 dicembre 2013

I conti dei Comuni: grazie Herr Doctor Letta!


L’Anci, con un comunicato stampa del 19 dicembre, esprime la propria profonda contrarietà alla legge di stabilità in sede di approvazione in Parlamento, che configura -  in particolare sullo IUC – una secca ed inaccettabile riduzione delle risorse a disposizione dei Comuni con gravi ed inevitabili conseguenze sulla erogazione  dei servizi ai cittadini  e sulle condizioni di vita di milioni di persone e di famiglie. Esito tanto più grave perché contraddice di 180 gradi l’impegno assunto formalmente  dal Governo negli incontri del 7 e 28 Agosto a non ulteriormente ridurre nel 2014 le risorse per i Comuni, dopo che dal 2007  gli enti locali italiani hanno subito continui e pesanti tagli alle loro risorse. L’Anci chiede, quindi, al Governo di emanare, entro i provvedimenti di fine anno, un decreto correttivo che consenta di assicurare ai Comuni le risorse necessarie.

Ma sul tema l’Anci era già uscita lo scorso 14 novembre, con apposito comunicato stampa, facendo alcune considerazioni sui conti dei Comuni. Secondo l’Anci il controllo dei conti dovrebbe essere esercitato sui settori che rappresentano il peso più rilevante della spesa pubblica, in primo luogo le amministrazioni centrali dello Stato, in quanto i Comuni rappresentano solo  il  7,6  per  cento  della  spesa  pubblica totale. Considerazione quanto mai opportuna, dato che sempre più gli organismi di controllo, Corte Conti e Ragioneria dello Stato, nelle annuali relazioni, denunciano che lo spreco del danaro pubblico è concentrato negli enti locali. Continua poi Anci, evidenziando che i Comuni rappresentano poi solo il 2,5% del debito totale  del  paese  e peraltro  possono  indebitarsi  solo  per  investimenti.  Risulta incontestabile che le necessarie politiche nazionali di riduzione del debito dovrebbero essere concentrate anche sugli altri settori pubblici, a  partire dallo Stato. Mentre sarebbe necessario che, per contribuire  alla  ripresa dell'economia ovvero al riassetto idrogeologico (tema purtroppo di grandissima attualità),  i  Comuni  possano  di  nuovo   riprendere   a   programmare investimenti, con una più ampia possibilità di accedere a mutui, modificando gli attuali tetti, nonché le regole relative al patto di stabilità, che di fatto inibiscono qualsiasi possibilità di sostenere le spese in conto capitale.

I Comuni hanno contribuito al risanamento della finanza  pubblica  negli anni tra il 2007 ed il 2014 per circa 16 miliardi, 8 miliardi e 700  milioni in  termini  di  patto  e  quasi  7  miliardi  e  mezzo  di  riduzione   dei trasferimenti. Nel 2012 presentano un avanzo  (  differenza tra le entrate e le spese ) pari a 1 miliardo e 667 milioni,  corrispondente al 2,57 percento delle entrate. Al contrario lo Stato registra un deficit di 52 miliardi, pari al 13,26% delle entrate. Hanno fino ad oggi pagato il prezzo del risanamento dato che, non solo hanno subito tagli ai Trasferimenti, ma subiscono  pesantemente  la contrazione degli investimenti per più di 4 miliardi, pari a  una  riduzione

del 28% nel periodo 2007/2012.

 

La spesa corrente dello Stato conosce  un  aumento  dell'8%,  mentre  le entrate aumentano del 4,26%;al contrario i Comuni riducono la spesa corrente del 2,5%, e vedono sostanzialmente invariate le entrate correnti. Tutto  ciò perché le recenti scelte operate hanno  portato  a  chiedere  un  contributo sempre maggiore ai  cittadini  anche  attraverso  l'IMU,  che  è  stato destinato al  risanamento  del  bilancio  statale.  Quindi  i cittadini hanno visto aumentare la pressione fiscale  locale  senza  che  ne abbiano beneficiato. È  il  capovolgimento  del  principio  di  autonomia  e

responsabilità su cui si fonda il patto elettorale tra sindaco e cittadini.

 Tra il 2012 ed il 2013  la  situazione  non  cambia,  anzi  si  aggrava. Osservando il gettito reale dell'IMU ed il valore dei contributi statali  le entrate si riducono ulteriormente di un  miliardo  (4,22%).  Tale situazione è resa inoltre più grave dall'incertezza sul rimborso  della seconda rata IMU prima casa. Si tratta di quasi tre miliardi,  di  cui 500 milioni legittimamente deliberati dai comuni nel 2013.

 

All’incirca un mese fa ricordavo che, secondo un rapporto della fondazione Bertelsmann ( Italia oggi del 6 settembre scorso, pagina 14 – I comuni tedeschi senza soldi – di Roberto Giardina), pubblicato a fine agosto, almeno 10 milioni di tedeschi vivono in comuni che sono sull’orlo del fallimento e che non è più possibile amministrare in modo efficiente. La situazione è più grave nelle regioni della ex Germania Est: nella sola Turingia i debiti locali sono aumentati dal 2007 del 30%. Anche all’Ovest il deficit cresce: nel settentrionale Schleswig-Holstein i debiti sfiorano i 3 miliardi, oltre 1.000 euro a testa, neonati compresi. Di nuovi investimenti necessari, inutile parlare. I debiti totali dei comuni ammontano a 130 miliardi di euro, 20 in più rispetto a cinque anni fa. Non equamente divisi: le regioni ricche, al Sud, il Baden-Württemberg e la Baviera, diventano sempre più prospere, ma aumenta la resistenza a far fronte alle necessità delle zone più deboli (secondo la cassa di compensazione che regola i rapporti federali).

I comuni non possono trovare nuove entrate e chiedono a Berlino di intervenire, a evitare che la situazione degeneri. In attesa di un intervento nazionale, non possono che tagliare dove possono: si chiudono i teatri e le piscine, si riducono le sovvenzioni culturali, gli extra per la scuola. Un paradosso nella ricca Germania. Il paese non è in crisi, ma molti piccoli centri sono sull’orlo del disastro: chiudono ogni giorno decine di negozi, perché i clienti preferiscono comprare in internet, la disoccupazione aumenta nei paesi, e diminuiscono di conseguenza gli introiti fiscali, mentre le grandi catene di distribuzione incrementano gli utili.

Scrivevo allora e ribadisco oggi, che sembra la foto dei nostri comuni italiani, o almeno di quelli del meridione. O piuttosto la fotocopia di una modalità di agire mutuata dalla “potente” Germania. Scrivevo anche che forse dovremmo ringraziare Herr Doctor Monti e mi auguravo di non dover ringraziare anche Herr Doctor Letta.

Oggi invece mi sento di pronunciare un fragoroso: Grazie Herr Doctor Letta!

 

 

   

sabato 14 dicembre 2013

USCIRE DALL'EURO?

USCIRE DALL’EURO?
Non se ne parla più, se non a cura di alcuni economisti esperti, forse non prezzolati dalle multinazionali e dalle banche. Eppure non tutti siamo convinti che non bisogna farlo. La questione è sicuramente politica e non economica. Uscire dall’euro è una scelta forte ed è una scelta politica.
Ma perché rimanere? L’euro nasce come conseguenza successiva alla creazione del mercato europeo, il cui principale assunto è la libera concorrenza. Già la libera concorrenza, quella che ci ha portato un abbassamento del costo del denaro preso in banca, quella che ci ha abbassato i costi delle assicurazioni e dei carburanti. Quella che ci fa pagare in aeroporto una bottiglietta d’acqua da mezzolitro solo 2,9° euro. Fanculo libera concorrenza! L’euro garantisce la stabilità monetaria, quella stabilità che ci fa esportare i nostri prodotti concorrenzialmente, quella che fa crescere la nostra economia e crea occupazione, ma quando mai!
Uscire dall’euro, ci dicono, ci renderebbe tutti più poveri in una notte. Sono gli stessi che ci dicevano che entrare nell’euro ci avrebbe resi più ricchi. Ma chi li paga?
Ma se non si vuole uscire dall’euro, se si vuole continuare a costruire una Europa unita, perché no anche monetaria, allora bisogna rivedere i rapporti di stabilità, bisogna rivedere quella benedetta soglia del 3%. Perché non ci dicono questi super esperti super prezzolati, di quanto aumenterebbe il debito pubblico alzando quella soglia di un punto? Perché non ci dicono in mano a chi è la gran parte del nostro debito pubblico? Non sono forse gli italiani i maggiori investitori nei titoli pubblici? Perché non ci dicono di quanto crescerebbe l’occupazione alzando la soglia di quel fatidico punto?
Ma già se ci dicessero tutte queste cose sarebbe vera democrazia, anche finanziaria. Non ce lo diranno mai, basta pensare al sistema col quale abbiamo votato. Quale democrazia?