giovedì 30 maggio 2013

Imposta di bollo sui mandati di pagamento






 Per quanto riguarda le fatture ed i mandati di pagamento si pongono problemi di assoggettamento o meno all’imposta di bollo per gli enti locali, in particolare in tutti quei casi in cui il documento contabile non si riferisca ad operazioni assoggettate ad iva e sia di importo superiore a 77,47 euro. Infine la circolare 46, del 1983, della Ragioneria dello Stato, chiarisce come il bollo, nella ipotesi appena sopra descritta, sia dovuto tanto sulla fattura quanto sul relativo mandato.
 
Sono assoggettati all’imposta di bollo, in base a quanto stabilito dall’art. 13  Tariffa  Allegato A – Parte I, fin dall’origine nella misura di euro 1,81:
-          le fatture, le note, i conti e documenti simili, recanti addebitamenti o accreditamenti, anche non sottoscritti, ma spediti o consegnati pure tramite terzi; 
-          le ricevute e quietanze rilasciate dal creditore, o da altri per suo conto, a liberazione totale o parziale di una obbligazione, 
se l’importo del documento di cui sopra, superi i 77,47 euro, e sia concernente:
·         operazioni fuori campo iva ( mancanza  del  presupposto  soggettivo  od oggettivo, ovvero territoriale)
·         
 operazioni escluse dal campo di applicazione dell’iva            art. 15 DPR 633/1972
·         
 operazioni effettuate senza il pagamento dell’Iva                   art. 74, c. 7,  DPR 633/1972
·         
 operazioni esenti da iva                                                              art. 10 DPR 633/1972.
 
Per le ricevute e le quietanze, contenute in un unico atto e relative a più percepenti, l’imposta si applica per ciascuno di essi. 
Per i documenti citati dall’art. 13, che non superino gli € 77,47, viene prevista l’esenzione dall’imposta di bollo. 
 
Altre esenzioni: 
 
In termini generali bisogna, innanzitutto, sottolineare che  l'Iva  e  l'imposta  di  bollo  sono tributi  alternativi,  nel  senso  che  l'applicabilità  dell'uno  esclude l'applicabilità  dell'altro.
Ai  sensi dell'art. 6 della Tabella, allegato B al D.P.R. 26 ottobre 1972, n.  642  e degli artt. 13 e 14 della Tariffa allegata allo stesso decreto, le fatture, le ricevute, le quietanze, le note, i conti, le lettere ed i  documenti  in genere  di  addebitamento  o  di  accreditamento  di   somme,   riguardanti operazioni soggette ad Iva  sono  esenti  dall'imposta  di  bollo  in  modo assoluto, cioè anche in caso di registrazione.
 
Ai fini dell’ottenimento dell'esenzione suddetta, i citati  documenti  devono  contenere una delle seguenti  indicazioni:
       - l'importo dell'Iva;
       - la dicitura che il documento è emesso in relazione al pagamento di corrispettivi assoggettati ad Iva.
 
 
Regole base per la corretta applicazione del bollo sulle fatture:
 
¾           Il bollo sulle fatture è a carico del soggetto che forma i predetti documenti, li consegna o li spedisce  - Ris. n. 444/E del 18 novembre 2008
¾           Il bollo apposto deve avere data anteriore alla data di creazione del documento  - Ris. n. 419/E del 3 novembre 2008
 
 
 
ü  Mandati di pagamento
Quando il pagamento è disposto con titoli di spesa (= mandati di pagamento), è dovuta, in ogni caso, l’imposta di bollo sulla quietanza, anche quando le fatture relative, emesse da parte dei fornitori degli enti senza addebito dell’IVA, sono già state assoggettate all’imposta di bollo nella misura di euro 1,81.
Il principio è stato confermato dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 365/E del 3 ottobre 2008. Ancor prima di tale risoluzione il Ministero delle Finanze si era espresso in argomento con la Circolare n. 46 del 28 luglio 1983.
La Circolare n. 46 del 1983, del Ministero delle Finanze, d’intesa con il Ministero del Tesoro, ha precisato che, quando il pagamento è disposto con titoli di spesa, è dovuta, in ogni caso, l’imposta di bollo sulla quietanza.
In tale ultima ipotesi, infatti, la quietanza deve essere necessariamente apposta sul titolo di spesa e, quindi, su un documento diverso da quello eventualmente già assoggettato ad imposta di bollo, con la conseguenza che non è possibile invocare la previsione della citata nota 2 dell’articolo 13 secondo cui l’imposta non è dovuta per “ la quietanza …apposta sui documenti già assoggettati all’imposta di bollo…”.
La Risoluzione n. 365 del 2008 precisa che l’imposta deve essere assolta in modo virtuale, mediante trattenuta all’atto dell’emissione del titolo di spesa.
L’agenzia in risposta a due quesiti posti dal ministero della Giustizia - che hanno per oggetto le modalità di applicazione dell’articolo 13 della tariffa, allegata al DPR 642/1972, su pagamenti riguardanti prestazioni esenti da Iva e per le quali sono state rilasciate fatture già sottoposte all’imposta di 1,81 euro - precisa inoltre che è dovuta l’imposta di bollo anche per le quietanze relative a ordinativi, mandati di pagamento, vaglia de Tesoro, con importo superiore a 77,47 euro, emessi dagli uffici giudiziari per prestazioni rese da “contribuenti” minimi. La tassa viene trattenuta in modo virtuale sul titolo di spesa.





















mercoledì 29 maggio 2013

L’ imposta di bollo negli enti locali

L’imposta di bollo trova riflessi su una serie di documenti posti in essere, ricevuti ovvero utilizzati, dagli enti locali. Naturalmente deve trattarsi di documenti a contenuto giuridico, documenti cioè che possono provare giuridicamente (anche solo eventualmente) uno stato, una condizione, un rapporto, ecc.

Atti
In primo luogo l’art. 1, Tariffa, Allegato A, parte I, assoggetta all’imposta di bollo tutti gli atti, intendendo per tali quelli rogati da enti locali.  Ma da subito ci rendiamo conto che delibere e determine, se non rilasciate a terzi con dichiarazione di conformità all’originale, sono assolutamente esclusi dall’assoggettamento all’imposta di bollo, ai sensi dell’art. 1, c. 2 delle disposizioni generali.
Tutti gli altri atti, come gli atti di autentica, di dichiarazione di conformità all’originale, ancorché l’originale stesso sia esente, sono assoggettati all’imposta di bollo.

Contratti, verbali, inventari.
Anche i contratti e le scritture private, come verbali, inventari e constatazioni, poste in essere dagli enti locali, quando controfirmati sullo stesso foglio dall’altra parte in causa, sono soggetti all’imposta di bollo ai sensi dell’art. 2, Tariffa, Allegato A, parte I.
Mentre come vedremo in seguito la documentazione di cui sopra,  quando contenente la firma solo dei rappresentati dell’Ente, come nei contratti scambiati per corrispondenza, art. 24, Tariffa, Allegato A, parte seconda, o come nei verbali di collaudo interni, cioè non controfirmati dall’appaltatore, l’imposta di bollo è dovuta solo in caso d’uso, cioè solo quando tali documenti vengono depositati all’ufficio del registro.

Istanze
Anche tutte le istanze, ovviamente quando non si tratti di semplici comunicazioni, tendenti ad ottenere un provvedimento, quali a solo titolo esemplificativo: per la concessione di un contributo, l’iscrizione in albi, registri o elenchi, il rilascio di certificazioni varie, il rilascio di autorizzazioni e/o concessioni, il rilascio in genere di documentazione, anche in copia conforme all’originale,  sono assoggettabili all’imposta di bollo ai sensi dell’art. 3 Tariffa Allegato A, parte I.
Naturalmente anche per le istanze sono previste tutta una serie di esenzioni, nella Tabella Allegato B, la cui consultazione risulta indispensabile per un corretto operare.  Ad esempio sono esenti quelle istanze volte ad ottenere sussidi, borse di studio e presalari, come quelle rivolte ad ottenere certificati non assoggettati al bollo, o quelle concernenti rapporti di pubblico impiego espressamente indicato nella nota 3, articolo 3 della tariffa, ecc.

Autorizzazioni e certificati
Anche tutte le autorizzazioni ed i certificati, connessi alla tenuta di pubblici registri, sono da assoggettare all’imposta di bollo, ai sensi dell’art. 4, Tariffa Allegato A, parte I, salvo i casi di espressa esenzione previsti  nella Tabella, Allegato B, ovvero in leggi speciali.
Rientrano in tale categoria le certificazioni dell’anagrafe (soggette all’imposta di bollo) ed i certificati dello stato civile (esenti dall’imposta di bollo), cosi come le  concessioni edilizie e qualunque altra autorizzazione in genre, ad esempio: il passo carrabile, ecc.

Fatture e mandati
Anche per quanto riguarda le fatture ed i mandati di pagamento si pongono problemi di assoggettamento o meno all’imposta di bollo per gli enti locali, in particolare in tutti quei casi in cui il documento contabile non si riferisca ad operazioni assoggettate ad iva e sia di importo superiore a 77,47 euro. Infine la circolare 46, del 1983, della Ragioneria dello Stato, chiarisce come il bollo, nella ipotesi appena sopra descritta, sia dovuto tanto sulla fattura quanto sul relativo mandato.

Prassi Agenzia Entrate su rilevanza iva canoni concessori


Ris. n. 139/E del 29 dicembre 2010
Il canone percepito dal Comune per concedere impianti pubblicitari è da assoggettare ad Iva se il rapporto con il  concessionario  è  regolato  da  un  patto  che rispecchia i moduli degli operatori economici privati e assume  i  caratteri di attività commerciale.
I  Comuni  non  sono soggetti a Iva per le attività svolte in veste di pubbliche autorità, a meno che non ci sia  il  rischio  di  distorsioni  della  concorrenza, secondo le  pronunce  della  corte  di  Giustizia europea, per verificare se l’ente pubblico  è  soggetto  o  meno all’imposta sul valore aggiunto occorre valutare se agisce come un  soggetto pubblico o piuttosto come un privato. Bisogna, quindi, individuare i profili del rapporto tra il Comune e il concessionario degli impianti  pubblicitari.
Infatti,  se  tra  i  due  attori  esiste  una  regolamentazione  di  natura “pattizia” (cioè  convenzionalmente disciplinata ndr), che delinea le modalità in  cui  devono  svolgersi  le  attività secondo i moduli propri degli operatori economici  privati,  e  se  il  loro rapporto assume i caratteri di attività commerciale, allora  la  concessione degli impianti rientra nel campo d’applicazione dell’imposta.
Concessione rete fognaria rilevante se l’affidamento è regolato su base pattizia
Ris. n. 122/E del  6 maggio 2009
 
Quando dall’esame degli atti  (Convenzione), che disciplinano il rapporto tra Comune e società concessionaria del servizio di gestione della rete fognaria comunale, sembra potersi escludere l’esercizio di poteri autoritativi da parte dell’ente locale, in quanto l’assetto delle  posizioni giuridiche soggettive delle parti, derivante dall’affidamento in  uso  della rete fognaria comunale, dietro pagamento del corrispettivo,  è  disciplinato su base pattizia secondo  le  modalità  proprie  degli  operatori  economici privati, sembrerebbe configurarsi, un’attività economica rilevante ai fini IVA.       
 
Concessione gas ipotesi di canone (meglio corrispettivo) 
Ris. n. 348/E del  7 agosto 2008
 
Nella ipotesi di concessione del servizio di distribuzione del gas, quando dalle disposizioni del contratto di 
servizio emerge che il rapporto fra comune e gestore del  servizio  è  regolamentato  sulla base di una 
pattuizione  bilaterale  che,  pur  presentando  alcuni  profili amministrativi,  in  considerazione  dell'interesse  
pubblicistico   sotteso all'erogazione  del  servizio,  concretizza  una  modalità  di   svolgimento dell'attività  
tipica  degli  operatori  economici  privati,  basata   sulla previsione delle reciproche obbligazioni e posizioni 
soggettive (cioè viene soddisfatto il requisito oggettivo iva in quanto reciproche prestazioni di servizi), 
il canone suddetto potrebbe assumere rilevanza iva. Quindi, atteso che, in forza  dei  principi  recati  dalla 
normativa comunitaria, afferma l’Agenzia delle entrate con la  Ris. n. 348/E del 7 agosto 2008,  il Comune
istante non agisce in veste di pubblica autorità,  ai fini  della  soluzione  del  quesito  prospettato,  occorre  
verificare   se sussista in capo allo  stesso,  alla  luce  delle  previsioni  recate  dal decreto  del  Presidente  
della  Repubblica  26  ottobre  1972,  n.  633,  anche il presupposto soggettivo dell'IVA. Occorre verificare
 cioè se il comune per il particolare rapporto è organizzato in forma d'impresa. Organizzazione in forma 
di impresa che sussiste quando per  lo  svolgimento di un'attività  viene  predisposta  un'organizzazione 
 di  mezzi  e  risorse funzionali al raggiungimento  di  un  risultato  economico,  qualora,  cioè, l'attività 
sia caratterizzata dai connotati  tipici  della  professionalità, sistematicità ed abitualità. Detti connotati 
sussistono sia nel caso in cui venga compiuta una  serie coordinata di atti ed operazioni, sia nel caso  in  cui  
venga  compiuto  un unico affare, in considerazione della rilevanza  economica  dello  stesso  e della 
complessità  delle  operazioni  in  cui  si  articola,  implicanti  la necessità di compiere una serie coordinata 
di atti economici. 
 

martedì 28 maggio 2013

Iva rilevanti le concessioni su base pattizia

L’art. 38, comma 2, lett. a), D.L. 18 ottobre  2012,     n. 179, in vigore dal 20  ottobre  2012, convertito dalla L. 17  dicembre     2012, n. 221 , inserisce al comma 5,dell’articolo 4 del dpr 633/72, le seguenti parole: le operazioni effettuate dallo  Stato,  dalle  regioni,  dalle province, dai comuni e dagli altri enti di diritto pubblico nell’ambito  di attività di pubblica autorità, recependo nella nostra legislazione nazionale la esclusione della commercialità per le attività degli enti pubblici rese in quanto pubbliche autorità.
 
La  commercialità  iva dell'attività  esercitata  dall'ente  pubblico   dipende in conclusione da un'indagine, caso per caso, volta  ad individuare il regime giuridico extratributario  cui  essa  è  assoggettata. Sul concetto di rapporto autoritativo o rapporto improntato al carattere della corrispettività torna molto utile consultare le pronunce della Agenzia delle entrate in merito.

L'art. 4, paragrafo 5, della VI ° Direttiva  (oggi interamente trasfuso nell’art. 13 della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006 n. 2006/11/CE che dopo un trentennio aggiorna le disposizioni comunitarie in tema di imposta sul valore aggiunto) esclude che gli  enti  pubblici  possano  considerarsi  soggetti  passivi  "per  le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche  autorità,  anche quando, in relazione a tali attività od operazioni,  percepiscono  diritti, canoni, contributi o retribuzioni  e  ciò  a  meno  che  il  loro  mancato assoggettamento  provochi  "distorsioni  di  concorrenza  di   una   certa  importanza".
 
Di tali previsioni non vi era traccia nell'art. 4, comma 4, del D.P.R.  n. 633/1972 che, come si è visto, delimitava la soggettività passiva degli  enti non commerciali in funzione dell'eventuale attività commerciale o  agricola esercitata, a prescindere dalla loro natura pubblica  o  privata.
Si  poneva dunque il problema di  stabilire  quali  fossero  i  rapporti  tra  normativa comunitaria e normativa  nazionale,  se  cioè,  vi fosse un rapporto di conflittualità  da  risolvere attribuendo prevalenza al paragrafo 5 dell'art.4  della  VI  Direttiva  o, invece,  l'art.4,  comma  4,  del  D.P.R.  n.  633/1972  fosse  una  fedele trasposizione della predetta norma comunitaria.
Anche la Corte  di Giustizia è stata chiamata in causa in  relazione  alla  controversa natura di alcune attività  esercitate  da  enti  municipali,    e la stessa in  un  notissimo  precedente  del  1989,  ha affermato: 
a) che il comma 1 del paragrafo 5 dell'art.4 della VI° Direttiva prevede  un  obbligo di risultato al quale il  singolo  Stato  membro  potrebbe  adempiere  vuoi ripetendo la formula comunitaria o  utilizzando  un'espressione  di  eguale significato, vuoi redigendo "un elenco di attività per le quali i  soggetti di diritto pubblico non devono essere considerati soggetti d'imposta" e che comunque il paragrafo 5  contiene  previsioni  normative  incondizionate  e sufficientemente precise tali da poter essere utilizzate da qualunque  ente di diritto pubblico onde non essere assoggettato all'imposta sulle attività svolte in quanto pubblica autorità; 
 b)  che  per  attività  esercitate  in quanto pubbliche autorità devono ritenersi "quelle  svolte  dagli  enti  di diritto pubblico nell'ambito del regime giuridico loro proprio, escluse  le attività da essi  svolte  nello  stesso  regime  cui  sono  sottoposti  gli operatori economici privati" e che spetta  al  giudice  nazionale di volta  in volta accertare la natura dell'attività; 
c)  che  gli  Stati  membri  "sono tenuti a garantire l'assoggettamento degli enti di diritto pubblico per  le attività che esercitano in quanto pubbliche autorità allorché tali attività possono essere del pari esercitate da privati in  concorrenza  con  essi  e qualora il  loro  assoggettamento  sia  atto  a  provocare  distorsioni  di concorrenza di una certa importanza, ma non  hanno  l'obbligo  di  recepire letteralmente tale criterio nel loro diritto  nazionale,    di  precisare limiti quantitativi di non assoggettamento".
Si ritiene peraltro da una lettura attenta della norma Iva che  l’impronta  pubblicistica  delle attività autoritative in questione le pone, a  prescindere  dal  fatto  che siano tipologicamente riconducibili a quelle indicate  nell'art. 2195  del codice civile, al di  fuori  della  dinamica  di  mercato  "non  risultando improntate ad un principio di corrispettività seppure  a fronte  del   loro   esperimento   possa   formalmente   configurarsi   una controprestazione da parte dell'utente del servizio.
In  ogni   caso   volendo   cercare   di   delimitare   la   portata dell'esclusione dal tributo di cui al paragrafo 5,  dell'art.  4  della  VI° Direttiva, può dirsi che tendenzialmente  sono  attività  esercitate  dagli enti pubblici "in quanto pubbliche autorità" quelle riconducibili ad atti e provvedimenti formali tipici delle autorità preposte alla cura di  funzioni pubbliche, ad attività cioè,  aventi  il  carattere  dell'autoritatività e soggette alla prerogativa dell'autotutela  amministrativa  a  fronte  delle quali sono imposte forme contributive non corrispettive.
Proprio il  carattere  tributario  dell'entrata  corrisposta  a  fronte dell'attività esercitata dall'ente pubblico costituisce  in  definitiva  il più sicuro indice della sua natura autoritativa.

Dipartimento Finanze chiarimenti prima rata Imu

Il Dipartimento delle Finanze, con la circolare n. 2/DF del 23 maggio 2013, intende rispondere ai numerosi quesiti, formulati allo stesso, in ordine  al  pagamento  della  prima  rata dell’IMU, per l’incertezza  determinata  dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, per la cui conversione è stato presentato un emendamento all’art. 10, comma 4, lett. b), il quale prevede che la prima rata  dell’IMU è versata sulla base delle aliquote  e  delle  detrazioni  dei  dodici  mesi dell’anno precedente.
   
Il Dipartimento ricorda che l’art. 9, comma 3, del D. Lgs. n.  23  del 2011  stabilisce  che  “i  soggetti   passivi   effettuano   il   versamento dell'imposta dovuta al comune per l'anno  in  corso  in  due  rate  di  pari importo, scadenti la prima il 16 giugno e la seconda il 16  dicembre.  Mentre l’art. 1 del D. L. 21 maggio  2013,  n. 54 stabilisce, nelle  more  di  una  complessiva  riforma  della  disciplina dell’imposizione fiscale sul  patrimonio  immobiliare,  la  sospensione  del pagamento della prima rata dell’IMU dovuta per:
    - l’abitazione principale e  relative  pertinenze.  Sono  escluse  dalla sospensione le abitazioni di tipo signorile,  classificate  nella  categoria catastale A/1, le ville,  classificate  nella  categoria  catastale  A/8,  i castelli o i palazzi di  pregio  storico  o  artistico,  classificati  nella categoria catastale A/9;
    -  le  unità  immobiliari  appartenenti  alle  cooperative  edilizie   a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale  e  relative  pertinenze dei soci assegnatari, nonché per gli alloggi  regolarmente  assegnati  dagli Istituti autonomi per le case popolari  (IACP)  o  dagli  enti  di  edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità  degli IACP, istituiti in attuazione dell’art. 93 del D.P.R.  24  luglio  1977,  n. 616;
    - i terreni agricoli e i fabbricati rurali.

L’art. 2 del D.L. n. 54 del 2013 precisa che la riforma, di cui  all’art. 1, dovrà essere attuata nel rispetto degli  obiettivi  programmatici  primari indicati nel Documento di economia e finanza  2013,  come  risultante  dalle relative risoluzioni parlamentari e, in  ogni  caso,  in  coerenza  con  gli impegni assunti dall’Italia in ambito europeo. In caso di  mancata  adozione della riforma entro la data del 31 agosto 2013, continua  ad  applicarsi  la disciplina vigente e il termine di  versamento  della  prima  rata  dell’IMU degli immobili di cui al medesimo art. 1 è fissato al 16 settembre 2013.
   
Il Dipartimento, quindi, alla luce della ricostruzione normativa (da noi sintetizzata rispetto alla circolare, la cui consultazione per esteso si consiglia come al solito) effettuata passa ad analizzare i vari quesiti pervenuti.

Versamento della rata prima del 7 giugno
La conversione del D.L. n. 35 del 2013 deve avvenire entro il 7 giugno  2013  e cioè a ridosso della scadenza  del  pagamento  della  prima  rata  dell’IMU, determinando  evidenti  difficoltà  dal  punto   di   vista   organizzativo, soprattutto per i CAF  che  gestiscono  un numero elevatissimo di versamenti IMU. Ferma restando, in ogni caso, la potestà di accertamento del tributo da parte dei comuni, il Dipartimento  ritiene  che nell’ipotesi in cui i contribuenti effettuino il versamento della prima rata dell’IMU tenendo conto  delle  disposizioni  contenute  nell’emendamento  in questione, ancor prima della conversione in legge del D.L. n. 35  del  2013, possa trovare applicazione la disposizione di  cui  all’art.  10,  comma  3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in base alla quale “le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da  obiettive  condizioni  di
incertezza  sulla  portata  e  sull’ambito  di  applicazione   della   norma tributaria”.
       
Mutamento dei requisiti Imu
L’emendamento prevede che il pagamento  della  prima rata dell’IMU avvenga sulla base  delle  aliquote  e  delle  detrazioni  dei dodici mesi dell’anno precedente, con la  finalità di  semplificare  al  contribuente  la  determinazione  dell’imposta, poiché alla scadenza prevista per il versamento della prima rata  potrebbero non essere ancora note le aliquote e le detrazioni deliberate dal comune per l’anno in corso. Pertanto, con la proposta emendativa il contribuente non  è costretto a consultare il sito istituzionale del Ministero  dell’Economia  e delle Finanze due  volte  nell’arco  delle  stesso  anno,  come  attualmente previsto dall’art. 10, comma 4, lett. b), del D.L. n. 35 del 2013.
L’applicazione concreta della disposizione in  esame  comporta,  in  via generale, che, ai  fini  della  prima  rata  dell’IMU,  la  locuzione  “anno precedente”  vale  esclusivamente  per  le  aliquote  e  per  le  detrazioni applicabili ma non anche per gli altri elementi relativi al tributo,  quali, ad esempio, il presupposto impositivo e la base imponibile, per i  quali  si deve tenere conto della disciplina vigente nell’anno di riferimento.
Pertanto,  la  prima  rata  dell’IMU potrebbe non coincidere esattamente con  la  metà  dell’imposta  dovuta  per l’anno  precedente,  poiché  non  sempre  è  riscontrabile  un’identità   di situazioni rispetto all’anno antecedente.