L’Anci, con un comunicato stampa del 19 dicembre, esprime
la propria profonda contrarietà alla legge di stabilità in sede di approvazione
in Parlamento, che configura - in particolare sullo IUC – una secca ed
inaccettabile riduzione delle risorse a disposizione dei Comuni con gravi ed
inevitabili conseguenze sulla erogazione dei servizi ai cittadini e
sulle condizioni di vita di milioni di persone e di famiglie. Esito tanto più
grave perché contraddice di 180 gradi l’impegno assunto formalmente dal
Governo negli incontri del 7 e 28 Agosto a non ulteriormente ridurre nel 2014
le risorse per i Comuni, dopo che dal 2007 gli enti locali italiani hanno
subito continui e pesanti tagli alle loro risorse. L’Anci chiede, quindi, al
Governo di emanare, entro i provvedimenti di fine anno, un decreto correttivo
che consenta di assicurare ai Comuni le risorse necessarie.
Ma sul tema l’Anci era
già uscita lo scorso 14 novembre, con
apposito comunicato stampa, facendo alcune considerazioni sui conti dei Comuni.
Secondo l’Anci il controllo dei conti dovrebbe essere esercitato sui
settori che rappresentano il peso più rilevante della spesa pubblica, in primo
luogo le amministrazioni centrali dello Stato, in quanto i Comuni rappresentano
solo il
7,6 per cento
della spesa pubblica totale. Considerazione quanto mai
opportuna, dato che sempre più gli organismi di controllo, Corte Conti e
Ragioneria dello Stato, nelle annuali relazioni, denunciano che lo spreco del
danaro pubblico è concentrato negli enti locali. Continua poi Anci,
evidenziando che i Comuni rappresentano poi solo il 2,5% del debito totale del
paese e peraltro possono
indebitarsi solo per
investimenti. Risulta incontestabile
che le necessarie politiche nazionali di riduzione del debito dovrebbero essere
concentrate anche sugli altri settori pubblici, a partire dallo Stato. Mentre sarebbe
necessario che, per contribuire
alla ripresa dell'economia ovvero
al riassetto idrogeologico (tema purtroppo di grandissima attualità), i
Comuni possano di
nuovo riprendere a
programmare investimenti, con una più ampia possibilità di accedere a
mutui, modificando gli attuali tetti, nonché le regole relative al patto di
stabilità, che di fatto inibiscono qualsiasi possibilità di sostenere le spese
in conto capitale.
I Comuni hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica
negli anni tra il 2007 ed il 2014 per circa 16 miliardi, 8 miliardi e
700 milioni in termini
di patto e
quasi 7 miliardi
e mezzo di
riduzione dei trasferimenti. Nel
2012 presentano un avanzo ( differenza tra le entrate e le spese ) pari a
1 miliardo e 667 milioni, corrispondente
al 2,57 percento delle entrate. Al contrario lo Stato registra un deficit di 52
miliardi, pari al 13,26% delle entrate. Hanno fino ad oggi pagato il prezzo del
risanamento dato che, non solo hanno subito tagli ai Trasferimenti, ma
subiscono pesantemente la contrazione degli investimenti per più di
4 miliardi, pari a una riduzione
del 28% nel periodo 2007/2012.
La spesa corrente dello Stato conosce
un aumento dell'8%,
mentre le entrate aumentano del
4,26%;al contrario i Comuni riducono la spesa corrente del 2,5%, e vedono
sostanzialmente invariate le entrate correnti. Tutto ciò perché le recenti scelte operate
hanno portato a
chiedere un contributo sempre maggiore ai cittadini
anche attraverso l'IMU,
che è stato destinato al risanamento
del bilancio statale.
Quindi i cittadini hanno visto
aumentare la pressione fiscale
locale senza che ne
abbiano beneficiato. È il capovolgimento del
principio di autonomia
e
responsabilità su cui si fonda il patto elettorale tra sindaco e cittadini.
Tra il 2012 ed il 2013 la
situazione non cambia,
anzi si aggrava. Osservando il gettito reale dell'IMU
ed il valore dei contributi statali le entrate
si riducono ulteriormente di un
miliardo (4,22%). Tale situazione è resa inoltre più grave
dall'incertezza sul rimborso della
seconda rata IMU prima casa. Si tratta di quasi tre miliardi, di cui
500 milioni legittimamente deliberati dai comuni nel 2013.
All’incirca un mese fa ricordavo che, secondo un rapporto della fondazione
Bertelsmann ( Italia oggi del 6 settembre scorso, pagina 14 – I comuni tedeschi
senza soldi – di Roberto Giardina), pubblicato a fine agosto, almeno 10 milioni
di tedeschi vivono in comuni che sono sull’orlo del fallimento e che non è più
possibile amministrare in modo efficiente. La situazione è più grave nelle
regioni della ex Germania Est: nella sola Turingia i debiti locali sono
aumentati dal 2007 del 30%. Anche all’Ovest il deficit cresce: nel
settentrionale Schleswig-Holstein i debiti sfiorano i 3 miliardi, oltre 1.000
euro a testa, neonati compresi. Di nuovi investimenti necessari, inutile
parlare. I debiti totali dei comuni ammontano a 130 miliardi di euro, 20 in più
rispetto a cinque anni fa. Non equamente divisi: le regioni ricche, al Sud, il
Baden-Württemberg e la Baviera, diventano sempre più prospere, ma aumenta la
resistenza a far fronte alle necessità delle zone più deboli (secondo la cassa
di compensazione che regola i rapporti federali).
I comuni non possono trovare nuove entrate
e chiedono a Berlino di intervenire, a evitare che la situazione degeneri. In
attesa di un intervento nazionale, non possono che tagliare dove possono: si
chiudono i teatri e le piscine, si riducono le sovvenzioni culturali, gli extra
per la scuola. Un paradosso nella ricca Germania. Il paese non è in crisi, ma
molti piccoli centri sono sull’orlo del disastro: chiudono ogni giorno decine
di negozi, perché i clienti preferiscono comprare in internet, la
disoccupazione aumenta nei paesi, e diminuiscono di conseguenza gli introiti
fiscali, mentre le grandi catene di distribuzione incrementano gli utili.
Scrivevo allora e ribadisco oggi, che sembra
la foto dei nostri comuni italiani, o almeno di quelli del meridione. O
piuttosto la fotocopia di una modalità di agire mutuata dalla “potente”
Germania. Scrivevo anche che forse dovremmo ringraziare Herr Doctor Monti e mi
auguravo di non dover ringraziare anche Herr Doctor Letta.
Oggi invece mi sento di pronunciare un
fragoroso: Grazie Herr Doctor Letta!