ll dissesto rappresenta per una
comunità territoriale un evento sicuramente nefasto. Perché, a prescindere
dagli aumenti di aliquote e tributi, destinati al solo ripiano
dell’indebitamento pregresso, non si riesce mai a soddisfare pienamente le
pretese dei creditori, spesso rappresentati da imprese ed artigiani locali, che
in tale evenienza rischiano seriamente anche la loro stabilità occupazionale,
compromettendo irrimediabilmente l’economia e l’occupazione locali, già
seriamente compromesse dalla spaventosa crisi che si sta attraversando. Infatti le procedure di dissesto in corso, malgrado lo
stanziamento di 100 milioni di euro, a favore delle stesse, disposto dal
decreto legge 35/2013, stentano a chiudersi e probabilmente non si chiuderanno
mai, dato che l’articolo 31, comma 15 della Legge 289/2002, ha abrogato la
possibilità di far ricorso al mutuo per finanziare la massa passiva del
dissesto. In effetti, attualmente, il mutuo può coprire solo debiti di parte
capitale o anche debiti di parte corrente, solo però se sorti antecedentemente
alla riforma costituzionale del 2001.
Il Consiglio di Stato è
intervenuto sulla questione, con riferimento al comune di Paola, con
l’ordinanza n. 1152/2013 emessa dalla V Sezione il 27 marzo 2013, affermando
che il dissesto è un evento di carattere eccezionale e drammatico nella vita
dell’Ente comunale, perché cede parte della sua autonomia allo Stato Centrale
che penetra nell’Ente con una Commissione Straordinaria di Liquidazione, che
gestirà tutte le passività, inoltre il Comune perde la propria capacità di
autodeterminazione nelle normali scelte amministrative ed è obbligato, per i
cinque anni successivi alla dichiarazione, a predisporre delibere, non
revocabili, di aumento massimo di tutte le aliquote/tributi e tasse, inoltre vi
è l’obbligo di riduzione drastica del personale in eccedenza, il divieto di
nuove assunzioni, il congelamento dei crediti e delle procedure esecutive e dei
pignoramenti, il blocco assoluto dell’accensione di nuovi mutui o finanziamenti
e il taglio dei servizi indispensabili (mense scolastiche, scuolabus,
interventi sociali, etc.). Prosegue poi il Consiglio di Stato indicando
all’Ente la via da seguire: evitare in ogni modo la dichiarazione di dissesto
attraverso il ricorso ai mezzi legali predisposti dal Legislatore. Allora
perché fare fallire un ente locale, espressione esponenziale della
collettività.
In questo particolare momento, la norma, nata con il decreto legge 174/2012, sul riequilibrio finanziario
pluriennale, ha rivelato tutta la propria utilità, dimostrata dal crescente
utilizzo che gli enti ne fanno. Ben farebbe allora il Legislatore a puntare
sulla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, sopra citata, in luogo
dell’obbligo al dissesto, guidato da Corte dei conti.
Il dissesto cosiddetto guidato è stato introdotto dal comma 2,
dell’articolo 6, del decreto legislativo 149/2011. Detta
norma prevede che, qualora dalle pronunce delle sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti emergano comportamenti difformi dalla sana gestione
finanziaria, violazioni degli
obiettivi della finanza pubblica
allargata e irregolarità contabili o squilibri
strutturali del bilancio dell'ente locale in grado di provocarne il
dissesto finanziario e lo stesso ente non abbia adottato, entro il termine
assegnato dalla Corte dei conti, le
necessarie misure correttive previste la competente sezione regionale,accertato l'inadempimento,
trasmette gli atti al Prefetto e alla
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Ove sia accertato,
entro trenta giorni
dalla predetta trasmissione, da parte della competente
sezione regionale della Corte dei conti, il perdurare
dell'inadempimento da parte
dell'ente locale delle citate
misure correttive e la sussistenza delle
condizioni di cui all'articolo 244 del testo unico di
cui al decreto legislativo n. 267del 2000, il Prefetto assegna
al Consiglio, con
lettera notificata ai singoli consiglieri, un
termine non superiore
a venti giorni
per la deliberazione del
dissesto.
Stante, allora, che la via della
adozione del piano pluriennale di riequilibrio appare la più percorribile, anche se sicuramente la più
onerosa (nel profilo dell’impegno
gestionale per la amministrazione attuale e le future, dato che é comune
esperienza infatti che le amministrazioni, con il ricorso alla ordinaria
procedura di dissesto, finiscono per essere sgravate da tutta una serie di
azioni tendenti al risanamento, continuando nella loro azione scarsamente
produttiva, mentre con la procedura di riequilibrio sentirebbero il fiato sul
collo della amministrazione e dei cittadini), sarebbe utile che il Legislatore
provvedesse alla modifica della procedura del dissesto guidato.
In luogo del dissesto guidato,
si potrebbe infatti introdurre, con opportuna modifica dell’articolo 6 sopra
citato, l’obbligo della procedura decennale di riequilibrio. In sostanza, all’emergere
di comportamenti difformi dalla sana
gestione finanziaria, violazioni degli
obiettivi della finanza pubblica
allargata e irregolarità contabili o squilibri
strutturali del bilancio dell'ente locale in grado di provocarne il
dissesto finanziario, Corte Conti provvede a diffidare gli enti ad adottare un
piano di riequilibrio. Sanzionando l’omessa adozione nei termini assegnati con
lo scioglimento del Consiglio comunale e la nomina del commissario ad acta,
così come avviene per la omessa approvazione dei bilanci. Tuttavia, dato che
con la modifica, si vuole salvare le amministrazioni e non gli amministratori,
questi ultimi, quando ritenuti responsabili del dissesto, andrebbero
adeguatamente sanzionati pecuniariamente, mai con la ineleggibilità, sanzione
questa troppo strumentalizzata dalle opposizioni che spesso tifano a favore del
dissesto,senza farsi scrupolo dei danni che provocano.