Con la
Legge di Stabilità n.147/2013, al comma 491, sono entrate in vigore dal 1 gennaio 2014 le
nuove aliquote gestione separata INPS 2014. In particolare tali aliquote già
soggette ad aumento progressivo dell’1%, sono state leggermente ritoccate, è
stata fatta una ulteriore distinzione tra lavoratori autonomi titolari di
Partita Iva e lavoratori autonomi privi di Partita IVA.
Le Nuove
aliquote gestione separata INPS dovute, a decorrere dal 1° gennaio 2014, dai
collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla Gestione separata, sono
le seguenti:
·
Collaboratori già iscritti
ad una gestione previdenziale obbligatoria e titolari
di pensione: 22%;
·
Collaboratori privi di
altra tutela previdenziale, ma titolari di partita iva: 27,72%.
·
Collaboratori privi di
altra tutela previdenziale, ma privi di partita iva: 28,72%
Le percentuali
sopra indicate sono state introdotte, come detto, dalla legge di stabilità, che
ha anche previsto per l’anno 2015 l’aumento dal 22% al 23,5% per i soggetti già
iscritti ad una gestione obbligatoria e per i titolari di pensione.
Fin qui
nulla da eccepire, come nulla da eccepire per quanto riguarda la introduzione,
nel 1995, dell’obbligo di una contribuzione previdenziale anche per i soggetti
sopra elencati, che costituiscono la schiera, purtroppo sempre più folta, dei
lavoratori precari.
Ma, il 6
gennaio dalle pagine di Italia Oggi, Marino Longoni lanciava l’allarme sull’inutile
versamento dei contributi Inps da parte dei precari, iscritti alla gestione
separata, che probabilmente non conseguiranno mai il diritto a pensione.
“Ci sono in Italia un
milione di lavoratori che stanno versando contributi previdenziali, anche
piuttosto salati, ma inutilmente. Non riusciranno mai, infatti, a maturare il
diritto ad una pensione. Si tratta della quasi totalità dei lavoratori a
progetto, dei lavoratori autonomi occasionali, dei collaboratori
parasubordinati e altre categorie di minor rilevanza. Insomma di quasi tutti i
lavoratori che versano i loro contributi alla gestione separata Inps. Il
problema di costoro è tutto richiuso in un concetto piuttosto tecnico, quello
di “minimale contributivo”. In sostanza a loro viene accreditato un mese di
contributi, validi ai fini pensionistici, solo se dichiarano un reddito di
almeno 1.295 euro al mese, e su questo ci versano i relativi contributi (nel
2014 l’aliquota è salita al 28,72%). Se il loro reddito è invece, per esempio,
la metà di questa cifra, ci vorranno due mesi di lavoro per mettere insieme un
mese di contributi. E così via. A parte gli amministratori, la stragrande
maggioranza di coloro che versano alla gestione separata non arriva a questi
livelli di reddito. Quindi rischia seriamente di versare contributi senza
riuscire mai a maturare un diritto alla pensione. Ma siccome il peggio non ha
mai fine, nei prossimi anni l’aliquota contributiva, che già è salita dal 10%
al 28% in meno di vent’anni, è destinata ad arrivare al 33% entro il 2018.
Aumentando così i contributi versati a perdere.”
Ora va bene tutto, come va bene che detti contributi siano
versati, ma bisogna che la politica ogni tanto si occupi anche di problemi seri
ed intervenga per introdurre una clausola di salvaguardia, che preveda la
restituzione in unica soluzione di quanto versato,maggiorato delle opportune rivalutazioni,
qualora alla data del pensionamento non si consegua il relativo diritto.
Altrimenti si verificherà, in molti casi, una appropriazione indebita da parte
dell’Inps, con la complicità dello Stato.