venerdì 10 gennaio 2014

LAVORATORI PRECARI: APPROPRIAZIONE INDEBITA DALL’INPS


 

Con la Legge di Stabilità n.147/2013, al comma 491,  sono entrate in vigore dal 1 gennaio 2014 le nuove aliquote gestione separata INPS 2014. In particolare tali aliquote già soggette ad aumento progressivo dell’1%, sono state leggermente ritoccate, è stata fatta una ulteriore distinzione tra lavoratori autonomi titolari di Partita Iva e lavoratori autonomi privi di Partita IVA.

Le Nuove aliquote gestione separata INPS dovute, a decorrere dal 1° gennaio 2014, dai collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla Gestione separata, sono le seguenti:

·         Collaboratori già iscritti ad una gestione previdenziale obbligatoria e titolari di pensione: 22%;

·         Collaboratori privi di altra tutela previdenziale, ma titolari di partita iva: 27,72%.

·         Collaboratori privi di altra tutela previdenziale, ma privi di partita iva: 28,72%

Le percentuali sopra indicate sono state introdotte, come detto, dalla legge di stabilità, che ha anche previsto per l’anno 2015 l’aumento dal 22% al 23,5% per i soggetti già iscritti ad una gestione obbligatoria e per i titolari di pensione.

Fin qui nulla da eccepire, come nulla da eccepire per quanto riguarda la introduzione, nel 1995, dell’obbligo di una contribuzione previdenziale anche per i soggetti sopra elencati, che costituiscono la schiera, purtroppo sempre più folta, dei lavoratori precari.

Ma, il 6 gennaio dalle pagine di Italia Oggi, Marino Longoni lanciava l’allarme sull’inutile versamento dei contributi Inps da parte dei precari, iscritti alla gestione separata, che probabilmente non conseguiranno mai il diritto a pensione.

“Ci sono in Italia un milione di lavoratori che stanno versando contributi previdenziali, anche piuttosto salati, ma inutilmente. Non riusciranno mai, infatti, a maturare il diritto ad una pensione. Si tratta della quasi totalità dei lavoratori a progetto, dei lavoratori autonomi occasionali, dei collaboratori parasubordinati e altre categorie di minor rilevanza. Insomma di quasi tutti i lavoratori che versano i loro contributi alla gestione separata Inps. Il problema di costoro è tutto richiuso in un concetto piuttosto tecnico, quello di “minimale contributivo”. In sostanza a loro viene accreditato un mese di contributi, validi ai fini pensionistici, solo se dichiarano un reddito di almeno 1.295 euro al mese, e su questo ci versano i relativi contributi (nel 2014 l’aliquota è salita al 28,72%). Se il loro reddito è invece, per esempio, la metà di questa cifra, ci vorranno due mesi di lavoro per mettere insieme un mese di contributi. E così via. A parte gli amministratori, la stragrande maggioranza di coloro che versano alla gestione separata non arriva a questi livelli di reddito. Quindi rischia seriamente di versare contributi senza riuscire mai a maturare un diritto alla pensione. Ma siccome il peggio non ha mai fine, nei prossimi anni l’aliquota contributiva, che già è salita dal 10% al 28% in meno di vent’anni, è destinata ad arrivare al 33% entro il 2018. Aumentando così i contributi versati a perdere.”

Ora va bene tutto, come va bene che detti contributi siano versati, ma bisogna che la politica ogni tanto si occupi anche di problemi seri ed intervenga per introdurre una clausola di salvaguardia, che preveda la restituzione in unica soluzione di quanto versato,maggiorato delle opportune rivalutazioni, qualora alla data del pensionamento non si consegua il relativo diritto. Altrimenti si verificherà, in molti casi, una appropriazione indebita da parte dell’Inps, con la complicità dello Stato.

 

 

 

 

lunedì 6 gennaio 2014

SCIOGLIMENTO DEI COMUNI PER MAFIA, UNA LEGGE DA RIVEDERE


‘’È una legge che merita di essere rivista perché non risolve i problemi. Cioè sciogliere i Comuni significa quasi mettersi contro la popolazione che lo avverte come un sacrificio alle proprie scelte. Un provvedimento ablatorio e ablativo delle proprie scelte, e questo secondo me va evitato. Bisogna tornare ai vecchi sistemi, cioè il controllo sulla legittimità degli atti. Bisogna mettere una Commissione che esamini gli atti, che sia il vecchio Coreco o la Prefettura poco importa, ma probabilmente bisognerebbe estendere il controllo anche nel merito degli atti. Io non do colpa allo stato, ma al legislatore che dovrebbe riadattare la legge alla realtà, che nel frattempo è cambiata’’. (Prefetto Piscitelli su legge scioglimento comuni, conferenza stampa di saluto alla città di Reggio Calabria)

Anche il Procuratore Cafiero De Rhao ha sollevato serie critiche e dubbi circa la validità e la efficacia della attuale normativa, sugli scioglimenti dei comuni per mafia.

Non siamo d'accordo con la soluzione prospettata dal Prefetto. Non abbiamo bisogno di una ulteriore ingerenza delle Prefetture negli enti locali, né di una ulteriore forma di sospensione della democrazia. Ci mancherebbe che le Prefetture entrino nel merito degli atti. Esistono già i sistemi di controllo che vanno implementati. Come esistono le misure per evitare che la criminalità organizzata tenti di infiltrarsi, leggasi codice antimafia e norme anticorruzione. Intanto le Prefetture dovrebbero meglio organizzarsi per rendere funzionale ed efficiente il sistema di certificazione antimafia. Altra cosa sarebbe una Commissione di verifica e monitoraggio che affianchi gli enti locali a rischio, ovviamente disciplinando correttamente la "dichiarazione" di rischio, evitando che diventi una ulteriore arma di lotta politica da parte delle opposizioni, che perdendo sempre le elezioni tifano per gli scioglimenti, fermo restando la pronuncia di decadenza, per quegli amministratori individuati responsabili, da sostituire facendo scorrere le graduatorie degli eletti, sia per evitare inutili costi per le elezioni, sia per non compromettere la stabilità amministrativa, sia per non penalizzare le persone perbene, sia per togliere l'arma "ricattatoria" alle opposizioni.

Allora bisogna passare dalle parole ai fatti, ecco perché, di seguito lancio la mia proposta di rivisitazione della norma, aperta ovviamente a tutti gli emendamenti migliorativi che dovessero pervenire, da sottoporre al Ministro Alfano, affinché provveda a far  varare al Governo apposito disegno di legge.

 

A mio avviso, ma ripeto ogni ulteriore proposta è ben accetta, bisognerebbe rivedere l’impianto normativo nei seguenti punti:

PROPOSTA PER L’ACCESSO

La proposta per l’accesso spetterà sempre alla locale Prefettura e sarà decretata dal Ministero dell’Interno, sentita, entro un termine prestabilito, la Conferenza Unificata Stato, Regioni , Enti locali.

COMMISSIONE D’ACCESSO

Nominata dal Ministro, sarà composta da tre soggetti in rappresentanza del Ministero ed integrata da due membri, da nominare entro un termine prestabilito, designati uno dall’Ente locale interessato, fra soggetti estranei al Consiglio, uno dall’Anci regionale.

 

SCIOGLIMENTO

Lo scioglimento sarà decretato dal Ministero dell’Interno, sentita , entro un termine prestabilito, la Conferenza Unificata Stato, Regioni , Enti locali.

CONSEGUENZE

Le conseguenze, oltre tutte quelle altre previste per legge, saranno la pronuncia di decadenza degli amministratori responsabili, la loro sostituzione con i primi dei non eletti nelle rispettive liste di appartenenza, la nomina di una apposita Commissione di verifica degli atti e della gestione, al cui parere va sottoposto ogni atto, appunto di indirizzo o di gestione che sia.

 

Naturalmente, per il momento, è solo un canovaccio di discussione, sul quale confrontarsi tutti per stendere una proposta completa e definitiva.

 

DISSESTO ENT I LOCALI UN DRAMMA DA EVITARE


 

ll dissesto rappresenta per una comunità territoriale un evento sicuramente nefasto. Perché, a prescindere dagli aumenti di aliquote e tributi, destinati al solo ripiano dell’indebitamento pregresso, non si riesce mai a soddisfare pienamente le pretese dei creditori, spesso rappresentati da imprese ed artigiani locali, che in tale evenienza rischiano seriamente anche la loro stabilità occupazionale, compromettendo irrimediabilmente l’economia e l’occupazione locali, già seriamente compromesse dalla spaventosa crisi che si sta attraversando. Infatti le procedure di dissesto in corso, malgrado lo stanziamento di 100 milioni di euro, a favore delle stesse, disposto dal decreto legge 35/2013, stentano a chiudersi e probabilmente non si chiuderanno mai, dato che l’articolo 31, comma 15 della Legge 289/2002, ha abrogato la possibilità di far ricorso al mutuo per finanziare la massa passiva del dissesto. In effetti, attualmente, il mutuo può coprire solo debiti di parte capitale o anche debiti di parte corrente, solo però se sorti antecedentemente alla riforma costituzionale del 2001.

Il Consiglio di Stato è intervenuto sulla questione, con riferimento al comune di Paola, con l’ordinanza n. 1152/2013 emessa dalla V Sezione il 27 marzo 2013, affermando che il dissesto è un evento di carattere eccezionale e drammatico nella vita dell’Ente comunale, perché cede parte della sua autonomia allo Stato Centrale che penetra nell’Ente con una Commissione Straordinaria di Liquidazione, che gestirà tutte le passività, inoltre il Comune perde la propria capacità di autodeterminazione nelle normali scelte amministrative ed è obbligato, per i cinque anni successivi alla dichiarazione, a predisporre delibere, non revocabili, di aumento massimo di tutte le aliquote/tributi e tasse, inoltre vi è l’obbligo di riduzione drastica del personale in eccedenza, il divieto di nuove assunzioni, il congelamento dei crediti e delle procedure esecutive e dei pignoramenti, il blocco assoluto dell’accensione di nuovi mutui o finanziamenti e il taglio dei servizi indispensabili (mense scolastiche, scuolabus, interventi sociali, etc.). Prosegue poi il Consiglio di Stato indicando all’Ente la via da seguire: evitare in ogni modo la dichiarazione di dissesto attraverso il ricorso ai mezzi legali predisposti dal Legislatore. Allora perché fare fallire un ente locale, espressione esponenziale della collettività.

 

In questo particolare momento, la norma, nata con il decreto legge 174/2012, sul riequilibrio finanziario pluriennale, ha rivelato tutta la propria utilità, dimostrata dal crescente utilizzo che gli enti ne fanno. Ben farebbe allora il Legislatore a puntare sulla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, sopra citata, in luogo dell’obbligo al dissesto, guidato da Corte dei conti.

 

Il dissesto cosiddetto guidato è stato introdotto dal comma 2, dell’articolo 6, del decreto legislativo 149/2011. Detta norma prevede che, qualora dalle pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti  emergano  comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli  obiettivi  della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri  strutturali del bilancio dell'ente locale in grado di provocarne il dissesto finanziario e lo stesso ente non abbia adottato, entro il termine assegnato dalla  Corte dei conti, le necessarie misure correttive previste la competente sezione  regionale,accertato l'inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto e alla  Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.  Ove  sia  accertato,  entro  trenta  giorni  dalla predetta trasmissione, da parte della  competente  sezione  regionale  della Corte dei conti, il perdurare dell'inadempimento da parte  dell'ente  locale delle citate misure correttive e la  sussistenza  delle  condizioni  di  cui all'articolo 244 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267del 2000, il Prefetto  assegna  al  Consiglio,  con  lettera  notificata  ai singoli consiglieri,  un  termine  non  superiore  a  venti  giorni  per  la deliberazione del dissesto.

Stante, allora, che la via della adozione del piano pluriennale di riequilibrio appare la più  percorribile, anche se sicuramente la più onerosa  (nel profilo dell’impegno gestionale per la amministrazione attuale e le future, dato che é comune esperienza infatti che le amministrazioni, con il ricorso alla ordinaria procedura di dissesto, finiscono per essere sgravate da tutta una serie di azioni tendenti al risanamento, continuando nella loro azione scarsamente produttiva, mentre con la procedura di riequilibrio sentirebbero il fiato sul collo della amministrazione e dei cittadini), sarebbe utile che il Legislatore provvedesse alla modifica della procedura del dissesto guidato.

In luogo del dissesto guidato, si potrebbe infatti introdurre, con opportuna modifica dell’articolo 6 sopra citato, l’obbligo della procedura decennale di riequilibrio. In sostanza, all’emergere di  comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli  obiettivi  della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri  strutturali del bilancio dell'ente locale in grado di provocarne il dissesto finanziario, Corte Conti provvede a diffidare gli enti ad adottare un piano di riequilibrio. Sanzionando l’omessa adozione nei termini assegnati con lo scioglimento del Consiglio comunale e la nomina del commissario ad acta, così come avviene per la omessa approvazione dei bilanci. Tuttavia, dato che con la modifica, si vuole salvare le amministrazioni e non gli amministratori, questi ultimi, quando ritenuti responsabili del dissesto, andrebbero adeguatamente sanzionati pecuniariamente, mai con la ineleggibilità, sanzione questa troppo strumentalizzata dalle opposizioni che spesso tifano a favore del dissesto,senza farsi scrupolo dei danni che provocano.